Dolomiti: la nascita del mito

Il nome deriva da uno scambio di galanterie accademiche tra Dolomieu e de Saussure.

In pochi lo sanno, ma le Dolomiti han­no rischiato di chiamarsi Saussuriti. L’antroponimo Dolomiti, come più vol­te ricordato di recente in occasione dell’in­serimento dei Monti Pallidi nella lista del «Patrimonio dell’Umanità» dell’Unesco, si riferisce infatti a Déodat de Dolomieu, scienziato, viaggiatore, avventuriero di fi­ne Settececento, protagonista di una vera e propria «odissea alpina».

Dolomieu, infat­ti, nel corso dell’estate del 1789, anno deci­sivo per le sorti dell’Europa e del mondo, percorse ben 1.300 chilometri nell’esplora­re quelle che sino a quel momento erano state definite le Alpi Veneziane. Sarà lui a rendere note ai grandi uomini di scienza dell’epoca le peculiarità orografiche e geo­logiche della catena montuosa che domina a nord la pianura veneta.

Déo dat Guy Silvain Tancrède Gratet de Dolomieu (Dolomieu, 23 giugno 1750, Chateauneuf, 26 novembre 1801)

A colpirlo l’ecce­zionalità della pietra, un minerale iride­scente che cattura al tramonto i raggi del sole illuminando di rosso punte e pinnaco­li. Dolomieu ne invia campioni all’Universi­tà di Ginevra, a Nicolas-Théodore de Saus­sure, figlio di Horace-Bénédict, personag­gio chiave nella scoperta delle Alpi ed, in particolare, del Monte Bianco.

Costui ana­lizza la pietra, ne evidenzia le caratteristi­che riconoscendola con la formula chimica MgCa(CO3)2, carbonato doppio di calcio e magnesio. Dolomieu apprezza talmente il lavoro del collega da proporgli di chiamare la roccia Saussurite. Nicolas-Théodore rin­grazia e ricambia: nei suoi articoli cita il mi­nerale come dolomite, ignorando, con un gesto di cavalleria accademica ben distante dalle consuetudini attuali, l’offerta del Do­lomieu.

Da allora, le montagne più belle del mondo portano tale nome. La curiosa vicenda è riportata in un bel­lissimo volumetto di Marco Albino Ferrari, In viaggio sulle Alpi. Luoghi e storie d’alta quota (Einaudi, 236 pp., 13, 50 euro), un vero e proprio tour nel mondo alpino, con­dotto incontrando personaggi, storie, drammi, avventure, alla ricerca dell’attuale «riconoscibilità» di alcune zone ben specifi­che della principale catena montuosa euro­pea: dal Monviso al Gran Paradiso, dal Monte Bianco al Cervino, dal Monte Rosa all’Oberland Bernese, dall’Engadina alle Do­lomiti sino alle Alpi Giulie.

Ritornando al capitolo dedicato alle Do­lomiti, interessante appare l’analisi storica dello sviluppo turistico in zona.

A tale pro­posito decisiva fu la costruzione della Gran­de Strada delle Dolomiti, un vero e proprio sogno accarezzato da Theodor Christoman­nos, avvocato dalle evidenti origini greche, realizzato il 13 settembre 1909 con l’inau­gurazione dell’incredibile opera. La lingua d’asfalto che ancor oggi collega Bolzano a Cortina, una delle vie automobilistiche più suggestive dell’intero continente, aprì una vera e propria epoca dominata dal turista.

Nacquero allora i grandi alberghi storici ­«Senza strada, nessun albergo. Senza alber­go, nessuna strada!», soleva ripetere Chri­stomannos – : l’Hotel di Misurina, la Chri­stomannos Haus al Pordoi, per esempio, veri e propri miraggi per «l’autoturista», quintessenza dell’uomo moderno che, su­perando gli ostacoli imposti dalla potenza della natura, ricerca la propria libertà indi­viduale.

Il Monumento a Theodor Christomannos al Passo di Costalunga, tra il Rifugio Paolina e il Rifugio Roda di Vael

Gli alti passi dolomitici, il Falzare­go, il Giau, divengono un vero e proprio «universo amico, quasi domestico…una sorta di grande giardino compatto, unifor­me, trattenuto in una fitta rete stradale». Un universo, che uno degli scrittori più amati dagli appassionati di montagna, Fo­sco Maraini, negli anni Trenta così descri­veva. «Le Dolomiti sono fondamentalmen­te diverse dal resto delle Alpi, perché colpi­scono l’occhio come cattedrali, castelli, for­tilizi, campanili, minareti, faraglioni più o meno isolati e dispersi sopra un vasto inter­calarsi di valli.

Pare infatti che le rocce si formassero originariamente su di un fon­do marino, sollevato poi in altro da movi­menti titanici della crosta terrestre. Qua e là restarono delle splendide, gloriose, incre­dibile rovine, alcune a for­ma di burbero maniero (il Pelmo), altre ad immagine di un onda pietrificata (il Ci­vetta), altre ancora imperso­nanti fulmini o fiamme pie­trificate (le Cinque Dita).

La più sublime delle cattedrali è data dalla triade delle Ci­me di Lavaredo». L’autore si chiede giustamente se tale assoluta bel­lezza, così ben evidenziata dalle parole di Maraini, sia ancora pienamente apprezzabi­le, dopo che gli iniziali ideali positivistici di Christomannos hanno lasciato spazio ad una vera e propria «foga costruttiva» che ha reso quelle stesse vie d’asfalto le strade più affollate d’Europa.

Il dibattito, a tale proposito, è aperto.

 

(Articolo di Alessandro Tortato per il Corriere del Veneto del 19 agosto 2009)

 

– Nella foto l’Arciduca Leopoldo Salvatore d’Asburgo-Toscana (Stará Boleslav, 15 ottobre 1863 – Vienna, 4 settembre 1931), arriva alla Christomannos Haus sul Passo Pordoi nell’inverno 1916, allora sede della K.K. POST UND TELEGRAFEN

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